Psicologia e politica: come le emozioni influenzano il giudizio politico degli elettori
Il mondo politico di oggi è arrabbiato. Una nuova ricerca indica che questa emozione può renderci cittadini (ed esseri) sempre più divisi.
Esistono diversi studi e articoli popolari sull’effetto che il cosiddetto “fear mongering” (la mercificazione della paura) esercita sugli atteggiamenti politici delle persone. Questo largo interesse sul fenomeno è forse stato alimentato dalla scena politica attuale, ove atteggiamenti autoritaristici, spesso definiti “sovranistici”, tendono a imperversare, spesso rispetto a particolari temi come, ad esempio, l’immigrazione (basti pensare alle più recenti misure emanate in merito dal governo statunitense o da quello italiano).
I messaggi scioccanti, progettati per far sì che gli individui sentano che la loro esistenza o la loro visione del mondo stia per essere minacciata, sono strumenti potenti per i politici, e lo sono stati per moltissimo tempo.
Paura e rabbia distorcono psicologicamente il nostro modo di valutare le informazioni politiche
Se esiste un’emozione che al momento è più pervasiva della paura tra i comuni cittadini, sia tra quelli di destra che tra quelli di sinistra, essa è la rabbia. Non sarebbe una forzatura affermare che proprio in questo momento alcuni paesi occidentali (come ad esempio il nostro) siano più arrabbiati e più divisi di quanto non sia mai accaduto in epoca moderna.
Data la sua larga diffusione, un’ovvia questione dovrebbe essere “in che modo la rabbia sta incidendo sulle posizioni politiche delle persone?”. Prima di rispondere a tale quesito è opportuno partire da un concetto chiave. Secondo la psicologia sociale quando le persone devono giudicare la loro realtà sociale tendono ad utilizzare sistematicamente delle scorciatoie di pensiero. Se da un lato questo ci permette di fare economia di risorse cognitive, dall’altro lato ci dà il vantaggio di semplificare la complessità del mondo sociale. Il punto però è che questo può anche condurci a commettere sistematiche distorsioni degli eventi, del ragionamento e del giudizio sociale, note altrimenti come bias. Gli effetti della paura nel determinare bias (ossia precomprensioni, distorsioni, pregiudizi) del giudizio politico sono stati ampiamente verificati sia ad un livello psicologico che cerebrale. Invece si sta solo iniziando a comprendere le conseguenze della rabbia – emozione questa ben più difficile da studiare negli esperimenti psicologici.
La rabbia esaspera i bias di giudizio politico: le prove ottenute da Suhay e Erisen
Un nuovo studio pubblicato nel Journal of Political Psychology ha scoperto che la rabbia esaspera i bias di giudizio politico e induce le persone ad essere meno aperte verso qualsiasi argomentazione o evidenza che non sia in linea con le proprie inclinazioni politiche e più aperte verso le informazioni che rafforzano i propri punti di vista. Ciò è noto come assimilazione distorta (biased) delle informazioni politiche, e gli scienziati Liz Suhay (American University, Washinghton DC) e Cengiz Erisen (Yeditepe University, Istanbul) hanno cercato di scoprire sotto quali condizioni e in che misura emozioni come la rabbia inaspriscano tale effetto.
I ricercatori hanno condotto uno studio online su cittadini statunitensi per confermare precedenti risultati sul fenomeno dei bias politici e per esplorare in che modo gli stati emotivi contribuiscano ai bias politici, dando particolare enfasi al ruolo della rabbia. Gli atteggiamenti dei partecipanti sugli argomenti politici venivano misurati esponendoli ad argomentazioni che erano o congruenti o incongruenti con la posizione politica d’appartenenza con cui si identificavano, e chiedendo loro di giudicare, controbattere o supportare tali argomentazioni. Per capire il ruolo delle emozioni nel mediare l’assimilazione delle informazioni politiche, dopo l’esposizione a ciascuna argomentazione ai partecipanti veniva richiesto di valutare il grado con cui provavano nove emozioni - tre di queste relative al dominio della rabbia (essere in collera, indignato, disgustato), tre relative a quello dell’ansietà (essere in ansia, nervoso, preoccupato), tre relative a quello dell’entusiasmo (essere entusiasta, fiducioso, orgoglioso) -.
L’esperimento ebbe successo nel replicare i precedenti risultati a supporto dell’esistenza di un’assimilazione distorta (biased) delle informazioni politiche. In aggiunta, i risultati hanno mostrato, come previsto, che l’emozione della rabbia era un così forte mediatore dell’assimilazione politicamente distorta dell’informazione che potenziava (più delle altre emozioni):
- i bias di giudizio maggiormente a favore delle argomentazioni ideologicamente congruenti (con le proprie) che non di quelle ideologicamente incongruenti
- la tendenza a confutare le argomentazioni ideologicamente dissimili dalle proprie più di quelle simili
Questi effetti sono risultati significativi sia tra i partecipanti repubblicani, sia tra quelli democratici senza rilevanti differenze quantitative tra i due gruppi.
Ciò ha confermato la loro ipotesi, basata su una celebre ricerca sulle emozioni, che la rabbia giochi un ruolo peculiare nell'acquisizione distorta (delle informazioni) poiché essa “orienta il pensiero e l’azione verso la difesa di sé (e dei propri alleati) e l’attacco delle parti”.
La narrazione politica rabbiosa come fonte di manipolazione psicologica? Qualche spunto di riflessione
Nei paesi più divisi politicamente (come ad esempio gli Stati Uniti, o l’Italia stessa) non è un caso che proliferino retoriche che infondono rabbia negli elettori. E spesso sono gli immigrati a costituirne il principale argomento. In effetti l’uso politico degli immigrati ha sempre e comunque l’effetto di accendere la miccia della rabbia tra gli elettori. Chi li respingerebbe è spesso attratto da retoriche politiche che infondono rabbia verso il nemico esterno. Chi non li respingerebbe invece appoggia retoriche che alimentano rabbia verso il nemico interno, il mendace e cinico manipolatore delle masse.
Secondo un famoso motto latino, divide et impera, la polarizzazione delle posizioni politiche è una delle più fruttuose strategie di consenso. Se si dividono le parti non solo si allarga la propria base di consenso ma si riesce anche a radicalizzare il dibattito politico su posizioni estreme, rendendo più difficile per gli avversari far riferimento a posizioni più moderate ed in linea con il proprio elettorato. La ricerca del Dott. Suhay indica nella rabbia la chiave psicologica principale per “dividere e regnare”. Se la tua narrazione politica suscita rabbia nell’elettore, lo indurrà anche a distorcere i suoi giudizi politici, a radicalizzarsi e ad allontanarsi da posizioni politiche alternative (il che a sua volta riduce il margine di valutazioni critiche sui fenomeni).
Ciò non stupisce più di tanto se si considera che la rabbia è un affetto psicologicamente potente, in grado di risuonare in profondità proprio sulle parti più conflittuali di ognuno di noi. Vedersi come esseri arrabbiati e avvicinarsi agli aspetti di sé più aggressivi e predatori ci fa sempre impressione ad un livello profondo perché alimenta il timore di non essere virtuosi (tanto quanto desidereremmo). Una possibile difesa psicologica, in questo caso, sarebbe proprio quella di proteggere le proprie parti buone e idealizzate attribuendo all’esterno la cattiveria, l’aggressività. Non sono più io l’essere aggressivo, sei tu che mi aggredisci, e che mi sei nemico (anche se questo non è necessariamente vero).
Per la psicoanalisi questa dinamica profonda, nota come posizione schizoparanoidea, ci aiuta a comprendere i casi in cui vedere negli altri un acerrimo avversario, è per noi tanto più facile quanto più difficile è vedere dentro di sé le proprie parti controverse. Viene da chiedersi se non accade la stessa cosa quando accusiamo rabbiosamente il migrante o l’avversario politico di essere più immorale o deviante di quanto noi potremmo mai esserlo.
Arrabbiarsi contro il nemico esterno può essere per noi psicologicamente conveniente. Ma, stando in linea con la ricerca del Prof. Suhay, la rabbia ci rende anche cittadini emotivamente manipolabili dall’esterno e meno inclini ad analizzare la realtà razionalmente.
Lascia un commento